Estratto dell'intervento di Andreotti alla Camera sul caso Giuffrè
Prendo la parola in questa sede ed in questo momento per informare la Camera — attraverso le risposte agli interpellanti e agli interroganti -—di quanto il Ministero del Tesoro ha fatto e di quanto è a conoscenza in ordine alle attività del signor Giovanni Battista Giuffré.
ll quesito che riguarda il Tesoro concerne una supposta violazione da parte del Giuffré della legge bancaria. Punto preliminare ed essenziale in materia è lo stabilire se sia necessaria o meno — perché si abbia attività bancaria illecita — la coesistenza tanto della raccolta di risparmio quanto dell’esercizio del credito.
Gli onorevoli Caprara e Cafiero hanno esaminato separatamente alcuni articoli della legge bancaria, che va vista invece come un tutto organico.
Gli atti parlamentari del 1936 della Camera dei Deputati riguardanti la conversione in legge delle disposizioni regolatrici del credito e del risparmio dicono testualmente: "Le due attività debbono necessariamente concorrere perché la legge stessa possa trovare applicazione. La raccolta del risparmio è infatti giustamente considerata come una attività di interesse pubblico in quanto sia preordinata all’esercizio del credito". Queste sono le parole del relatore della Giunta generale del Bilancio, non contrastate da alcuna difforme interpretazione nel corso del dibattito parlamentare.
E per quanto riguarda la definizione delle due attività che devono concorrere perché una azienda possa essere considerata una banca, il capo dell' ispettorato dell’epoca, con documento del 20 settembre 1936, così si esprimeva:
a) per l'attività creditizia
"Quanto alle operazioni attive previste e disciplinate dalla legge suddetta esse devono attenere alla funzione dell'esercizio del credito dichiarata di interesse pubblico. Deve trattarsi, quindi, di operazione di carattere bancario {specialmente sconti, riporti, anticipazioni, aperture di credito ecc.) fatte come oggetto continuativo e normale dell'attività dell'azienda a una categoria più o meno larga di clienti".
b) per la raccolta di risparmio
"Condizione essenziale perché la raccolta del risparmio sia assoggettata alla disciplina del decreto legge 12 marzo 1936, è che tale raccolta venga effettuata "fra il pubblico". Deve trattarsi cioè della costituzione di depositi effettuati agli sportelli dell'azienda che raccoglie i depositi stessi, o anche in altra forma, ma sempre in modo continuativo e senza discriminazione delle persone dei depositanti, come ordinaria attività dell'azienda stessa".
Dal 1936 ad oggi dello stesso avviso sono sempre stati sia il Servizio di consulenza legale della
Banca d'Italia che i tecnici bancari che hanno avuto occasione di occuparsi della questione. Varrà la pena di ricordare che nel 1955 avendo la Questura di Pisa interpretato come violazione della legge bancaria la emissione di un prestito interno ad interesse, lanciato con certificati nominativi da quella Camera confederale del lavoro con lo scopo dichiarato di edificare una "Casa del lavoratore”, la Banca d'Italia sostenne che non esistesse alcuna violazione della legge bancaria in quanto non vi era né collocamento dei certificati attraverso le banche, né raccolta di risparmio fra il pubblico in genere, né preordinazione di mezzi per l'esercizio del credito ma soltanto acquisizione di fondi per uno scopo extra bancario ben determinato.
AMENDOLA - Ma quali interessi si corrispondevano? Non certo quelli di Giuffré.
ANDREOTTI - Qui non si tratta di valutare gli interessi, ma soltanto di vedere se la sola raccolta di depositi è punita dalla legge. Se cosi fosse, il Partito Comunista andrebbe denunciato perché raccoglie -su libretti di tipo bancario come questo che vi mostro - depositi ad interesse dai propri iscritti. E' molto curioso che siate proprio voi a condannarvi.
PAJETTA GIANCARLO - Ma quale interesse viene dato ai depositanti? ·
ANDREOTTI — Lo saprà certo lei meglio di me, data la sua posizione nel Partito. Peraltro, quando verso la metà dello scorso anno (e quindi prima che la stampa si cominciasse ad occupare della questione, essendo la pubblicazione della lettera nel settimanale Il Borghese datata 31 ottobre 1957) giunsero lagnanze all’lspettorato del credito da parte di banche che si pretendevano danneggiate da una asserita concorrenza di Giuffré nella raccolta di depositi, la Banca d’ltalia avrebbe potuto anche non assumere iniziative di sorta in quanto nessuno parlava di esercizio del credito attuato dal Giuffré. Così era accaduto nel 1955 dopo una segnalazione della sede di Forlì e ai primi del 1957 su notizie venute dall’Associazione Bancaria: la delibazione delle lamentele non fece conoscere alcun elemento utile di prova. Nel giugno, al contrario, dinanzi al reiterarsi delle lagnanze, la Banca d’ltalia iniziò immediatamente approfondite indagini, impegnando in esse la responsabilità dei propri direttori provinciali e chiamando a collaborare proprio coloro che avevano il maggiore interesse a far cessare una simile attività, cioè i dirigenti delle banche con sede nelle zone dell’Emilia, della Romagna e delle Marche dove si diceva che il Giuffré operasse. Si trattava di rintracciare prove concrete dell’attività di raccolta di fondi attribuita al Giuffré, del pagamento da parte di lui di interessi più o meno elevati e dell’esercizio di una sia pur minima attività creditizia. Ho agli atti del Ministero l’elenco nominativo dei 61 dirigenti di aziende di credito (banche e casse di risparmio) di cui 41 preposti ad aziende operanti nell’Emilia e Romagna: tutti questi funzionari, individualmente o in riunioni, ricevettero premure dai dirigenti della Banca d’Italia per raccogliere le prove di una eventuale attività illecita del signor Giuffré. L’esito fu negativo. Allora, nonostante che gli accertamenti che si compiono verso le banche siano coperti dal segreto di ufficio, furono disposte ed effettuate ispezioni presso le banche delle quali si aveva motivo di ritenere che il Giuffré fosse importante correntista avendo un largo giro di fondi, come in realtà risultò. I rapporti giuridici sottostanti ai movimenti di fondi non risultarono tuttavia in alcun modo individuati. Sicché neanche con questo mezzo di carattere straordinario si riuscì a trovare le prove di cui si andava alla ricerca.
Mancanza di prove, dunque, circa l’azione di accaparramento del danaro che si diceva il Giuffré svolgesse; mancanza di prove che egli corrispondesse interessi di qualunque misura; mancanza di prove che egli adoperasse il danaro venuto in sua disponibilità per svolgere una attività bancaria (sconti, prestiti, mutui, finanziamenti sulla parola o su pegni ecc.). L’Anonima Banchieri è un appellativo giornalistico di questi ultimi mesi: tutto quello che si diceva allora era che il Giuffré usasse il danaro per costruire, per conto di enti religiosi, edifici di varia natura: chiese, asili etc.
Agli inizi dell’anno corrente un dirigente di banca dette al Ministro del Tesoro, senatore Medici, una memoria nella quale venivano ripetute le lagnanze contro l’attività del Giuffré. ll Ministro la trasmise al Governatore della Banca d`ltalia dal quale fu informato di quanto era stato ed era ancora messo in opera per accertare l’esistenza di iniziative illecite. ln particolare il Ministro ed il Governatore si soffermarono ad esaminare la duplice caratteristica che la legge bancaria richiede perché possa dirsi violata la disciplina del credito e del risparmio, concordando nella già; ricordata interpretazione tradizionale.
Va notato che le disposizioni della Banca d`ltalia ai propri organi periferici per raccogliere elementi sulla attività del signor Giuffré non sono state mai revocate e sono tuttora valide.
Alla fine del mese scorso quando il Consiglio dei Ministri dispose il coordinamento dell’operato dei singoli Ministeri in ordine alla questione di cui ci stiamo occupando, da parte del Ministero del Tesoro e dell’Ispettorato del Credito furono adottate le seguenti iniziative:
1) Verifica dell’andamento dei depositi delle aziende di credito operanti in Emilia e Romagna per accertare se effettivamente vi sia stata una contrazione che possa ricollegarsi all’azione del Giuffré. I dati acquisiti sono i seguenti:
- la provincia di Bologna è passata in cinque anni da 81 a 164 miliardi con una percentuale di incremento del 102 per cento;
- la provincia di Forli è passata da 18 a 40 miliardi con un incremento del 123 per cento;
- la provincia di Ferrara e passata da 23 a 50 miliardi con un incremento del 108 per cento;
- la provincia di Ravenna è passata da 18 a 41 miliardi con un incremento del 121 per cento;
- le altre province dell’Emilia (Modena, Parma, Piacenza e Reggio) dove l’attività del Giuffré non era segnalata come presente sono passate invece globalmente da 109 a 216 miliardi con un incremento del 97 per cento, assai più basso di quelli ora ricordati.
La risposta al quesito sulla diminuzione di depositi imputabile al signor Giuffré è quindi negativa.
LA MALFA - Non ha importanza questo rilievo, ed è un errore di metodo.
ANDREOTTI - Giornalisti autorevoli sono caduti in errore. Ed anche qui è riecheggiato questo motivo dei risparmi calanti. Forse se la statistica fosse stata diversa sarebbe stata accolta senza critiche di metodo. Comunque è confortante vedere quanto risparmio si accumula nelle zone più comuniste d‘ltalia.
2) Accertamenti presso le Borse in merito a presunte speculazioni collegabili al Caso Giuffré, alle quali aveva fatto cenno sia pure in via di ipotesi qualche giornale.
Il Direttore Generale del Tesoro mi riferiva immediatamente che non risultava alcuna segnalazione al riguardo da parte degli organi ispettivi, segnalazione che certamente non sarebbe mancata ove si fossero determinate situazioni di un certo rilievo.
Dinanzi a questa affermazione e ad alcune considerazioni induttive che confermavano la risposta negativa volli tuttavia che fossero eseguiti sopralluoghi presso tutte le Borse per raccogliere ogni eventuale utile elemento. A conclusione di questi sopraluoghi l’Ispettore generale delle Borse Valori ha così terminato la sua relazione: “... posso in coscienza concludere che non si hanno né sono risultati elementi, né diretti né indiretti, da far presumere che una attività speculativa nel settore borsistico possa essere stata esplicata dal nominato Giovanni Battista Giuffré o da suoi eventuali prestanome od incaricati”.
3) Indagini su afflusso di valuta estera a signor Giuffré
Senza poter escludere l’esistenza di partite minori che potranno essere conosciute attraverso le indagini, che stanno proseguendo, è risultato che dal 1954 allo scorso anno il Giuffré ha negoziato banconote estere ed assegni sull’estero per un controvalore di lire italiane 112 milioni, regolarmente fatti affluire alla Banca d’Italia sede di Bologna. Si tratta di 91 mi1ioni di controvalore in lire in assegni e di 21 milioni in banconote. La maggior parte degli assegni e delle banconote riguardano dollari americani in partite molto frazionate.
4) Ispezioni della Vigilanza.
Per i fini e nei limiti consentiti dalle disposizioni legislative in vigore, l’Ispettorato della Banca d’Italia ha disposto ulteriori particolari ispezioni nelle sedi dove il Giuffré ha operato o si presume che abbia operato.
Al quesito se nel passato vi siano stati protesti cambiari o siano state denunciate insolvenze a carico del Giuffré va data fino a questo momento risposta negativa.
5) Ulteriore approfondimento sulla interpretazione della legge bancaria.
Nonostante, per quanto già detto, potesse anche ritenersi superfluo, ho richiesto un parere scritto tanto al Direttore generale del Tesoro quanto all’autorevole Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, sul punto della necessaria coesistenza della raccolta di risparmio e dell’esercizio del credito, perché possa configurarsi una attività bancaria illecita. Sullo stesso argomento la Banca d’Italia ha chiesto separatamente un motivato parere a tre illustri professori universitari: il penalista Delitala, il commercialista De Gregorio e l’amministrativista Massimo Severo Giannini. Tutti questi pareri – che sono a disposizione dei Colleghi – concordano senza eccezioni nella interpretazione ritenuta esatta dalla Banca d’Italia.
A scanso di equivoci sia chiaro che io mi occupo delle norme bancarie e quindi non ho alcuna veste né per escludere né per insinuare che ii signor Giuffré abbia potuto violare norme di diversa natura. Allo stato degli atti nessuno può dire che egli abbia violato la legge bancaria.
6) Esame della Corrispondenza delle norme del 1936 alla situazione economico-finanziaria attuale del nostro paese.
Sotto l’emozione del bombardamento di notizie più o meno controllate intorno al Giuffré, l’opinione pubblica si è domandata come mai attraverso le maglie della legge possano esplicarsi attività così impressionanti. In verità il quesito sarà meglio posto quando conosceremo con esattezza ia natura e le dimensioni dell’operato del signor Giuffré e potremo apprezzarne il grado di liceità o illiceità. Ad ogni buon fine il Ministero del Tesoro ha preso ad esaminare nei giorni scorsi d’intesa con esperti di altri Ministeri e della Banca d’Italia l’opportunità di qualche modica alla legislazione vigente per quanto riguarda sia la raccolta dei depositi sia l’attività delle cosiddette società finanziarie, delle quali esiste tutta una gamma che richiede una attenta considerazione. Bisogna però procedere con estrema cautela e senza lasciarsi prendere da temporanee emozioni perché alcune misure che possono sembrare utili comportano delle controindicazioni che peggiorerebbero certamente la situazione a danno dei cittadini. Se i colleghi che dovranno e vorranno occuparsi della questione Giuffré si soffermeranno a valutare anche questi temi di interesse generale potranno offrire al Governo utili suggerimenti ed opportune indicazioni per le conseguenti iniziative o non iniziative.
Non sarà male qui ricordare che la Commissione economica incaricata. di redigere ii rapporto per l’Assemblea Costituente così si esprimeva dodici anni or sono: “La Commissione ha posto un primo quesito fondamentale sulla sufficienza delle norme di vigilanza e controllo del credito sotto il particolare profilo della difesa del risparmio; in via subordinata ha quindi chiesto il parere su speciali provvedimenti in atto o passibili di attuazione, i quali mirino specificatamente a salvaguardare i depositanti. Le opinioni raccolte concordano nel ritenere in generale sufficienti le vigenti norme cautelative e l’esercizio della funzione di vigilanza da parte di un organo pubblico. Solo alcuni reputano che la regolamentazione sulle aziende di Credito dovrebbe essere ancora più severa, mentre altri opinano che il risparmio trova la maggiore, se non esclusiva sua tutela, nella probità e capacità degli amministratori”.
A tale indirizzo aderirono i Costituenti e non difforme fu il pensiero dominante nelle prime due legislature della Repubblica.
Sara bene tuttavia, onorevoli Colleghi, prendere l’occasione odierna per dire una parola chiara riguardo all’attività dell’Ispettorato del credito e del risparmio, perché troppo spesso – anche in questi giorni - interlocutori impreparati o, peggio, interessati, tendono ad affacciare critiche o ad avvalorare presunti collegamenti tra asserite insufficienze delle norme in vigore e l’affermarsi dei metodi attribuiti al Giuffré. Non si accorgono questi critici quanto sia ridicolo il piangere sull’alto costo del danaro in Italia e l’attribuire contemporaneamente ai tassi di interesse troppo bassi la ricerca, da parte dei risparmiatori, di collocamenti clandestini di depositi per realizzare interessi così elevati che nessun investimento razionale potrebbe mai permettere neppure di concepire.
Ma dobbiamo risalire alle origini dell’Ispettorato. Risultano da pubblici documenti gli interventi di salvataggio delle banche che dovettero essere effettuati prima del 1936. Se ne occupo il ricordato rapporto alla Costituente, ed altri elementi sono contenuti quella pubblicazione illustrativa delle origini e dell’attività dell’lRl edita due anni or sono a cura del Ministero dell’Industria.
Nel rapporto della Commissione economica è descritta la tragica caduta della Banca Italiana di Sconto avvenuta sulla fine del 1921 ed è esposto l’intervento dello Stato che allora si ebbe attraverso la Sezione autonoma del Consorzio per sovvenzioni su valori industriali, creata nel marzo 1922. Il rapporto menziona che il volume dell’intervento della Sezione era stato fissato in un miliardo di lire, ma subito aggiunge che gà durante il 1922 ed ai primi del 1923 si accentuò un‘altra crisi bancaria di grandi dimensioni, quella del Banco di Roma che già pericolava al momento della caduta della Banca ltaliana di Sconto. Questa volta il Governo volle evitare una nuova catastrofe bancaria e poiché a tale scopo non era piu sufficiente il miliardo della Sezione autonoma, in parte già erogato per le necessità del concordato della Banca di Sconto, con decreto legge 22 marzo 1923 venne soppresso il limite di un miliardo per le operazioni della Sezione. Si configurava così lo strumento attraverso il quale gli istituti di emissione avrebbero potuto provvedere ai salvataggi bancari in modo distinto dalle proprie operazioni. Tale strumento, che nel 1926 mutò denominazione ed ebbe una propria struttura interna (si chiamò Istituto di liquidazioni) funzionò per i salvataggi attuati dal 1922 al 1932.
Furono effettuati interventi finanziari nei Confronti di diversi istituti ed aziende industriali legati con le Banche quali la Banca Italiana di Sconto, il Banco di Roma, la Banca Agricola Italiana, il Credito marittimo, il Banco di Santo Spirito, il folto gruppo delle banche cattoliche, il Banco di Sicilia, la Banca Toscana, la Banca
del Trentino e dell’Alto Adige, la Banca delle manche e degli Abruzzi, la Banca ltaliana di Credito e Valori, la Banca Nazionale dell`Agricoltura, la Banca Agricola Commerciale di Pavia, la Banca delle Venezie, la Cassa di Risparmio di Fiume ed altri minori, oltre ad interventi per la sistemazione di alcune aziende industriali legate a dette banche, quali la Società Cogne e le Bonifiche ferraresi e per essi la Banca popolare di Novara e l’Istituto San Paolo di Torino.
Molte di queste banche ebbero un aiuto a fondo perduto, altre furono poste in liquidazione con qualche residuo attivo. La perdita secca per lo Stato (cioé per il contribuente italiano) risultò di cinque miliardi di lire che salgono a 11 miliardi per gli interventi a favore delle tre grandi banche nazionali al momento del passaggio nell’IRI (Banca Commerciale, Credito Italiano e Banco di Roma: quest’ultimo salvato per la sec volta).
Undici miliardi del periodo 1922-1933 sono pari a ottocento-mille miliardi di oggi. Questo è stato il costo per i contribuenti della incontrollata politica bancaria svoltasi fino alla vigilia della emanazione della legge del 1936. Dopo l'entrata in vigore di questa legge non vi è stata più alcuna necessità di compiere salvataggi di sorta e lo Stato non ha posto a carico dei cittadini nemmeno una lira di onere a tale titolo, nei ventidue anni di applicazione di queste norme.
Il problema che con la legge bancaria si è voluto risolvere fu dunque quello di dare ampi poteri all'Ispettorato del Credito per il controllo delle aziende autorizzate all'esercizio dell'attività bancaria, onde evitare, nei limiti del possibile, nuovi dissesti. In questo senso si offriva una tutela a coloro che affidassero i loro risparmi alle aziende di credito autorizzate. Non si volle allora, né si poteva, difendere i risparmiatori dai rischi che essi avessero inteso di correre facendo un uso del risparmio diverso da quello del deposito presso le aziende autorizzate all'esercizio del credito. Né si ritenne che potesse mai assumere consistenza di qualche rilievo l'esercizio non autorizzato e clandestino del credito effettuato mediante risparmi raccolti fra il pubblico, la qual cosa spiega la tenuità della pena (ammenda fino a 100 mila lire oggi rivalutate a 800 mila lire) stabilita per tali ipotesi. Doveva trattarsi comunque - come abbiamo visto - per essere colpita, di una attività bancaria, cioè dell'esercizio del credito effettuato mediante risparmi raccolti fra il pubblico.
Ogni studio per perfezionare le leggi è sempre bene accetto purché esso nel nostro caso non suoni come critica alle leggi in vigore e agli organi chiamati ad attuarle. Se noi pensiamo al rendimento positivo della legge bancaria in un periodo così difficile quale è stato quello della guerra, del dopoguerra, della ricostruzione, dell'ampliamento industriale, della crisi coreana, della crisi di Suez ecc. non possiamo non dare atto del buon funzionamento di un settore così essenziale per la vita dello Stato.
Onorevoli Colleghi, il Ministero del Tesoro per quanto è di sua competenza continuerà ad occuparsi con tutta l'attenzione dovuta alla questione Giuffré e darà ancora, come ha fatto nel passato, la sua collaborazione perché organi dello Stato ai quali spetta puniscano se ci sono degli illeciti o prevengano, come è possibile, infrazioni e reati. Credo che con questa premessa si possa chiedere a tutti un grande gesto di responsabilità quando si parla o si scrive di un settore tanto delicato quale è quello del credito e del risparmio nazionale.
25-09-1958