Senatore a vita
Dopo la nomina a senatore a vita l'1 giugno 1991, per la prima volta, nel 1992, Giulio Andreotti non partecipa a una elezione parlamentare. Non entra quindi nel vivo della battaglia politica che si svolge sullo sfondo del vero e proprio terremoto da cui è scossa la società italiana. Mentre le inchieste giudiziarie colpiscono i principali partiti, la mafia scatena una impressionante offensiva che in pochi mesi colpisce drammaticamente lo Stato con gli attentati ai giudici Falcone e Borsellino.
In questo clima matura la elezione del nuovo Presidente della Repubblica in sostituzione di Francesco Cossiga. Andreotti è fra i candidati ma cede il passo quando si rende conto di non poter raggiungere il quorum. La profonda emozione suscitata dall'attentato a Falcone scioglie l'impasse che si era determinata fra i parlamentari-elettori: viene scelto Oscar Luigi Scalfaro. Designato a formare il nuovo governo, Giuliano Amato offre ad Andreotti di tornare al ministero degli Esteri. Ma c'è l'impedimento della incompatibilità decisa frattanto dalla DC fra il ruolo di parlamentare e quello di ministro. Andreotti senatore a vita non può che declinare la proposta. Entra invece a far parte della Commissione per le riforme istituzionali presieduta da Ciriaco De Mita e viene designato quale membro dell'Assemblea parlamentare del Consiglio di Europa.
Il 27 marzo del 1993, la sconvolgente notizia della richiesta da parte della Procura di Palermo della autorizzazione a procedere contro Giulio Andreotti per “associazione per delinquere di tipo mafioso”. Un colpo durissimo per il senatore a vita, che sarà replicato qualche settimana dopo da parte della Procura di Perugia con l'accusa (forse ancora più clamorosa) di essere il mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli avvenuto nel 1979. E' Andreotti stesso a sollecitare dal Senato la concessione dell'autorizzazione a procedere, ribadendo la propria innocenza e ricordando le forti iniziative contro la mafia da lui assunte quale capo del governo.
Cominciano dieci durissimi anni di processi, anni segnati da violente polemiche, attacchi personali, ingiurie, ma anche da numerosissime e qualificatissime attestazioni di stima e di solidarietà. Fra tutte, quella da parte di Giovanni Paolo II che, nel 1999, il giorno della beatificazione di Padre Pio, alla fine della solenne cerimonia in piazza San Pietro chiama sé per benedirlo Giulio Andreotti per il quale solo pochi giorni prima era stata chiesta la condanna all'ergastolo per il delitto Pecorelli.
Alla fine, il 30 ottobre 2003, l'assoluzione da parte della Corte di Cassazione dalle accuse di Perugia e il 15 ottobre 2004 da quelle di Palermo. Relativamente alle accuse di mafia, la sentenza della Corte di Cassazione ribadisce il giudizio, emesso in primo grado e in appello, di assoluta estraneità di Andreotti ai fatti contestatigli nel periodo successivo alla primavera 1980. Quanto al periodo precedente (per il quale è intercorsa la prescrizione) la Corte osserva che le conclusioni della Corte di Appello, pur tecnicamente corrette, possono non essere condivise e che ad esse se ne possono contrapporre altre altrettanto valide. Su questo, tuttavia, non rientra fra i compiti della Cassazione esprimersi.
Andreotti segue con puntualità le vicende processuali (è quasi sempre presente alle udienze), ma questo non gli impedisce di dedicarsi diligentemente agli impegni parlamentari ai quali affianca una intensa attività di scrittore (pubblica in questo periodo ben ventidue libri) e di giornalista. Assume la direzione della rivista “30 Giorni” e per questa realizza, fra l'altro, una serie di importanti interviste a capi di Stato come Gheddafi, Arafat, Gorbaciov: personaggi con i quali fino a pochi mesi prima aveva collaborato sulla scena politica mondiale e con i quali mantiene rapporti di amichevole cordialità. Oltre a collaborare con diverse pubblicazioni, Andreotti tiene una rubrica quotidiana di corrispondenza con il pubblico sul “Tempo” di Roma.
Né viene meno l'impegno in campo internazionale, svolto come delegato all'Assemblea parlamentare dell'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) dal luglio 1995 al maggio 2001 e poi dal luglio 2006 all'aprile 2008, oltre che come membro della Delegazione italiana all'Unione interparlamentare. E' lui, nel marzo del 2003, a guidare la rappresentanza italiana alla Conferenza dell'Unione Interparlamentare di Marrakech. Molto intenso, inoltre, il lavoro di Andreotti nella Commissione Esteri del Senato (della quale egli rimarrà componente fino alla morte) mentre il suo studio di senatore a vita a Palazzo Giustiniani in questi anni è meta di visita di molti esponenti politici – e non solo – internazionali di passaggio per Roma.
Al Senato, Andreotti è inoltre membro della Commissione di inchiesta Mitrokhin e della Commissione speciale per la tutela e la promozione dei diritti umani (nel giugno del 2008 fa anche parte, per un breve periodo, della Commissione speciale per l'esame dei decreti legge).
Rispetto alle vicende di politica interna, in questi anni l'atteggiamento di Andreotti è di estremo riserbo. Non entra nelle vicende della fine della DC e della successiva diaspora limitandosi a iscriversi al gruppo del PPI in Senato, né prende spiccate posizioni nel dibattito sull'avvio della cosiddetta Seconda Repubblica pur senza nascondere la sua predilezione per il sistema elettorale proporzionale e le sue critiche per i tentativi di bipolarismo in atto. Fino alle elezioni politiche del 2001 quando - in coincidenza con lo scioglimento del PPI nella Margherita - si affianca all'ex segretario della CISL Sergio D'Antoni e al ministro della Pubblica Istruzione in carica, Ortensio Zecchino, per lanciare un nuovo partito che si propone come nucleo per un “terzo polo”. E' Democrazia Europea. Nonostante una campagna elettorale molto intensa (condotta all'età di 82 anni) e contrassegnata da grandi soddisfazioni personali per Andreotti, l'esperienza fallisce. Democrazia Europa non supera lo sbarramento del 4 per cento dei voti. Andreotti al Senato entra a far parte del nuovo Gruppo parlamentare per le Autonomie dove rimarrà negli anni successivi tranne che nella XV legislatura (Gruppo Misto).
Nel gennaio 2005, dopo la tragedia dello tsunami in Estremo Oriente, per Andreotti un attestato di generale considerazione: insieme con Giuliano Amato, Emma Bonino, Andrea Monorchio e Giorgio Napolitano fa parte della commissione dei garanti chiamati a vigilare sulla trasparenza nella gestione degli aiuti umanitari. Un anno dopo, all'indomani delle elezioni parlamentari dell'aprile 2006, accetta la candidatura alla presidenza del Senato offertagli dal centro-destra, in un'ottica – precisò – di riconciliazione. Viene però sconfitto per nove voti dal candidato del centro-sinistra Franco Marini. Sarà lui, tuttavia, a presiedere la prima riunione del Senato il 28 aprile 2008, alla inaugurazione della XVI legislatura.
Nel maggio del 2012 Andreotti è ricoverato al policlinico Gemelli per una crisi da insufficienza respiratoria. E' il segnale di un grave indebolimento fisico che un anno dopo lo condurrà alla morte: alle 12,25 del 6 maggio 2013.