X Legislatura 1987-1992
Elezioni 14 giugno 1987: candidato n. 1 nella lista della DC nella circoscrizione XIX Roma Viterbo Latina Frosinone; 329.599 preferenze. Elezioni europee 18 giugno 1989: candidato n.1 della lista della DC nella circoscrizione Emilia Romagna, Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia; 530.858 preferenze. Ministro degli Esteri dei governi Goria e De Mita. Presidente del Consiglio (22 luglio 1989 - 12 aprile 1991). Ministro ad interim delle Partecipazioni Statali (26 dicembre 1990 - 12 aprile 1991). Presidente del Consiglio (12 aprile 1991 - 28 giugno 1992). Ministro ad interim dei Beni Culturali (12 aprile 1991 - 28 giugno 1992). Ministro ad interim delle Partecipazioni Statali (12 aprile 1991 - 28 giugno 1992). Senatore a vita dal 1 giugno 1991.
Conclusa con le elezioni la parabola di governo di Craxi, tocca a un democristiano la guida del nuovo esecutivo. De Mita è bloccato dalla contrarietà di Craxi mentre a un incarico ad Andreotti si oppone De Mita stesso, che rimprovera ad Andreotti la firma dell'appello pre-elettorale di CL che egli ha giudicato un attacco contro la sua Segreteria. Nasce il governo Goria (22 luglio 1987): Andreotti, che aveva avuto Goria come consigliere economico nei governi da lui presieduti negli anni 70, è confermato ministro degli Esteri: incarico che manterrà anche nel successivo governo De Mita (13 aprile 1988). Anni, anche questi, di intense relazioni internazionali di cui Andreotti è protagonista, anche grazie alla vasta rete di relazioni e -spesso- di amicizie che ha intessuto negli anni con esponenti politici di tutto il mondo. In questo periodo particolarmente fruttuosa appare la grande cordialità di rapporti con il segretario di Stato di Reagan, George Shultz.
Dopo la celebrazione del G7 a Venezia, solo pochi giorni dopo le elezioni, da ricordare, in particolare, alcuni importanti viaggi di Stato: con Goria in Estremo Oriente (Singapore, Kuala Lumpur, Giacarta e Nuova Delhi) insieme con una folta delegazione di industriali; con De Mita al G7 di Toronto (19 giugno 1988), a Washington (dicembre '88) per incontrare il neo-eletto presidente Bush; nell'aprile '89 in Israele; all'inizio di febbraio 1989 con il presidente della Repubblica Cossiga in Africa (Egitto, Kenia, Zambia, Mozambico, Zimbabwe, Somalia). La Farnesina è fra i protagonisti dei principali giochi internazionali del momento. In primo piano soprattutto i problemi della distensione Est-Ovest e del disarmo, in una fase delicata in cui la guerra fredda sembra conoscere un ultimo sussulto mentre si incominciano a intuire gli scricchiolii del blocco sovietico. L'11 dicembre 1987 a Bruxelles Andreotti firma per l'Italia gli accordi per lo smantellamento degli euromissili: un momento storico nel percorso verso il disarmo. Ed è ancora lui, nella primavera 1989 a incitare il presidente americano Bush a non precipitare la decisione della installazione dei missili di media gittata in Germania, decisione che avrebbe costretto l'URSS a irrigidire le posizioni. Ma è sempre Andreotti a sostenere, in piena intesa con il presidente De Mita, la dislocazione in Italia degli aerei Nato F16 trasferiti dalle basi spagnole. Nel frattempo ci sono stati appuntamenti come la conferenza di Vienna sul disarmo (novembre 1986) e una decisiva riunione per la messa al bando delle armi chimiche a Madrid. Nel novembre 1988, inoltre, Andreotti svolge le funzioni di presidente di turno del Consiglio di Sicurezza dell'ONU:
Contemporaneamente, da ministro degli Esteri, Andreotti affronta la questione della criminalità organizzata stipulando una intesa con gli Stati Uniti e interviene per sollecitare l'estradizione dal Brasile in Italia del capo mafioso Tommaso Buscetta.
Un lavoro particolarmente intenso del quale Andreotti subisce qualche contraccolpo fisico. Di rientro da Madrid per un vertice CEE viene colto da un malore (labirintite) che lo costringe a letto per una settimana.
Il 18 giugno 1989 si svolsero le elezioni per il parlamento europeo. Andreotti venne candidato come capolista della DC nel collegio del Nord-Est (Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige). Eletto con un risultato molto lusinghiero (530.858 preferenze), medita il ritiro dalla politica nazionale per dedicarsi a quella europea. Ma poche settimane dopo entra in crisi il governo De Mita e dopo una lunga e complicata fase, l'incarico di formare un nuovo esecutivo torna ad Andreotti (che, curiosamente, da presidente incaricato, ma ancora ministro degli Esteri in carica, accompagna a Parigi per il G7 il presidente uscente De Mita).
Il 22 luglio 1989 prende vita il governo Andreotti VI (o Giulio VI, come preferiscono chiamarlo i giornali) poggiato su una maggioranza di pentapartito che fa perno sulla collaborazione fra democristiani e socialisti. La stampa conia l'acronimo CAF (Craxi, Andreotti, Forlani): una sigla che Andreotti non ha mai gradito, negando di aver mai stabilito con gli altri due leader accordi di mero potere. Quattro le linee guida che Andreotti fissa per il governo: Europa, risananamento della finanza pubblica, lotta al crimine e alla droga, valorizzazione delle autonomie locali. Gli ostacoli sono molti, in un clima reso ulteriormente complesso da tensioni e sospetti fra le forze politiche ma anche da polemiche e manovre da parte di ambienti economici e imprenditoriali. Fa scalpore, poche settimane dopo l'avvio del governo, l'intervento di Andreotti al convegno di Capri dei giovani industriali durante il quale il Presidente del Consiglio ribadisce il primato della politica rispetto ai tentativi di condizionamento della grande impresa.
Uno dei primi terreni di controversia viene offerto dalla approvazione della legge sulla immigrazione che in quegli anni incomincia a manifestarsi in tutta la sua drammatica complessità (la “Legge Martelli”).
Ancora più spinosa la questione della legge sul sistema televisivo dopo la fine del monopolio Rai. La legge predisposta dal ministro repubblicano Mammì affrontò un percorso particolarmente tortuoso anche per l'opposizione della sinistra democristiana i cui esponenti (Misasi, Martinazzoli, Fracanzani, Mannino e Mattarella) giunsero a lasciare il governo alla fine di luglio '90. La crisi fu evitata con un rimpasto-lampo.
Dell'autunno 1990 è poi la pretestuosa polemica che coinvolge il Presidente del Consiglio dopo il ritrovamento di carte del caso Moro in un appartamento di Milano di via Montenevoso.
Le difficoltà del cammino non impediscono tuttavia importanti provvedimenti. Sul fronte della criminalità, oltre a essere completata la riforma del codice di procedura penale viene approvata la legge sulla droga, mentre uno dei primi provvedimenti del governo fu un decreto (predisposto il 18 settembre 1989 dal ministro della Giustizia Vassalli) che impedì il rilascio degli imputati nel maxiprocesso contro la mafia in corso a Palermo.
Di particolare rilievo, inoltre, la riforma delle autonomie locali (la legge Gava n.142 del giugno 1990), mentre del novembre 1990 è il varo del “diploma universitario”, antesignano della “laurea breve”.
Il governo Andreotti VI regge fino al marzo del 1991 quando una polemica fra il Presidente della Repubblica e il Partito repubblicano accende la crisi. L'incarico torna di nuovo ad Andreotti che, nei contatti con i partiti, cerca di impostare la soluzione per un altro dei gravi nodi che affliggono la politica nazionale: quello della riforma delle istituzioni. Propone di trasformare in “costituente” la restante parte della legislatura. Ma l'accordo non si trova.
D'altronde la soluzione della crisi è complessa: i repubblicani non accettano la spostamento ai Beni Culturali del ministro da loro indicato per le Poste (Giuseppe Galasso) per fare posto al socialdemocratico Carlo Vizzini e si ritirano dal governo. Andreotti decide di assumere l'interim dei ministeri rimasti scoperti: Partecipazioni Statali e Beni Culturali (di questo ministero era già titolare da qualche mese a seguito della morte del ministro Franco Piga).
Nasce il governo Andreotti VII formato da Dc, Psi, Psdi e Pli.
Seguono altri mesi agitati. Il Presidente del Consiglio affronta pesanti attacchi dopo la decisione di aprire al giudice Felice Casson, che indaga sulla strage di Peteano, gli archivi del Sismi mettendogli a disposizione le carte della organizzazione Gladio, la struttura clandestina creata nel dopoguerra dalla Nato per fronteggiare un eventuale (ma non affatto da escludere) attacco sovietico. Andreotti giustifica la decisione affermando che la fine del blocco comunista rendeva superato il segreto, soprattutto di fronte a una indagine di terrorismo.
Nella primavera e nell'estate del 1991 il governo si trovò ad affrontare la vera e propria invasione delle coste pugliesi da parte di decine di migliaia di fuggiaschi dall'Albania. Dopo una prima ondata di profughi in marzo, all'inizio di agosto circa ventimila persone si presentarono davanti al porto di Brindisi. Il governo non poté che reagire con fermezza ordinandone il rimpatrio. Andreotti propose che venisse attuato un progetto di adozione dei profughi da parte dei cittadini italiani e personalmente prese a suo carico tre ragazzi. Ma l'esempio non venne seguito che da pochissime persone.
Nei governi Andreotti VI e VII la politica estera occupa un ruolo di primissimo piano. Temi ispiratori: soprattutto Europa e distensione internazionale, sullo sfondo dei profondi – e a volte drammatici – cambiamenti in atto dopo il crollo del Muro di Berlino. Sono questi gli anni dell'inizio della crisi dei Balcani che porterà la guerra sulle porte dell'Italia, della Guerra nel Golfo, per la quale l'Italia, pur non sottraendosi agli impegni internazionali di partecipazione militare, tenta ripetute mediazioni. Ma sono anche gli anni della dissoluzione del blocco comunista e dell'apertura dell'Europa orientale avviata dalla perestroyka di Gorbaciov. Con il leader sovietico Andreotti stabilisce rapporti di stretta collaborazione e solidarietà (gli farà assegnare anche il ricco Premio Fiuggi, da lui presieduto, in Quirinale). Ma sono soprattutto anni di svolta per la Comunità Europea, svolta destinata a culminare con il Trattato di Maastricht che Andreotti firmerà insieme con gli altri capi di Stato e di governo europei il 7 febbraio 1992. Andreotti e Gianni De Michelis (ministro degli Esteri) sono protagonisti decisivi di questa fase, soprattutto durante il semestre di presidenza italiana della Comunità dal luglio al dicembre 1990 che, con i Consigli europei di Roma (ottobre e dicembre 1990), lanciò le conferenze intergovernative sulla Unione economia e monetaria e sulla Unione politica. Andreotti, presidente pro tempore, dovette imporsi di fronte al tentativo del premier britannico Margaret Thatcher di rinviare la decisione.
Intanto Andreotti è diventato senatore a vita il 1 giugno 1991 e non parteciperà quindi alle elezioni politiche del 5 aprile 1992 che segnano, di fatto, la fine del suo governo. Fra gli ultimi provvedimenti adottati prima di lasciare palazzo Chigi, il decreto legge dell'8 giugno '92 che inasprisce l'articolo 41bis contro la criminalità mafiosa.