VII Legislatura 1976-1979
Elezioni 20 giugno 1976: candidato n. 1 nella lista della DC nella circoscrizione XIX Roma Viterbo Latina Frosinone; 191.593 preferenze. Consigliere comunale di Roma. Presidente del Consiglio (29 luglio 1976 -11 marzo 1978), Presidente del Consiglio (11 marzo 1978 - 20 marzo 1979), Ministro dell'Interno ad interim (11 maggio 1978 - 13 giugno 1978), Presidente del Consiglio (20 marzo 1979 - 4 agosto 1979).
Sono gli anni della “solidarietà nazionale”: una risposta politica eccezionale per fronteggiare una difficilissima congiuntura economica e sociale. In un quadro politico bloccato, all’indomani delle elezioni del 20 giugno 1976, con gli schieramenti democristiano e comunista contrapposti e impossibilitati a collaborare e il PSI indisponibile a entrare in maggioranza, Andreotti vara il governo della non-sfiducia (l’espressione è di Luigi Cappugi, consulente economico del Presidente del Consiglio): un monocolore democristiano che si regge, oltre che sui voti della DC e del Sudtiroler Volskpartei, sulle astensioni di tutti gli altri partiti con l’eccezione del MSI, di Democrazia proletaria e dei radicali.
Fu Moro a sollecitare la scelta di Andreotti quale capo dell’esecutivo soprattutto con la motivazione - ancora una volta - che essa avrebbe tranquillizzato i Paesi alleati i quali solo poche settimane prima, nel vertice di Porto Rico, avevano intimato all'Italia di non consentire l'accesso al governo dei comunisti. Tale scelta non solo favorì una ritrovata unità interna della DC, ma evidenziò anche le qualità di mediazione e di guida del governo dello statista romano.
Il governo della non-sfiducia reggerà fino al gennaio del 1978, con aggiustamenti di rotta e continue mediazioni necessari per mantenere in piedi una maggioranza di fatto (ma non si poteva definirla tale) continuamente minacciata dalle contrapposte esigenze dei partiti. Da un lato i malumori di ampi settori della DC e del mondo anticomunista per il colloquio apertosi con il PCI, dall'altro la protesta della base comunista per il sostegno a una politica di rigore economico necessariamente pesante messa in atto da un governo dal quale i comunisti restano esclusi (senza nessuna prospettiva di potervi entrare). Da qui la richiesta comunista di un maggiore coinvolgimento nel governo cui tocca ancora alla saggia mediazione di Moro e alla tenacia di Andreotti trovare la difficile soluzione. A rendere ulteriormente difficoltoso il cammino del governo, poi, momenti di crisi come quello legato alla fuga del criminale nazista Kappler (ferragosto 1977) che costrinse alle dimissioni il ministro della Difesa, Vito Lattanzio.
Nel marzo 1978 si giunge all'intesa per un nuovo governo, sempre guidato da Andreotti, nei confronti del quale il PCI passa dalla non-sfiducia all'appoggio esterno. La presentazione alle Camere viene fissata al 16 marzo. Quel giorno, Andreotti affronta quelle che definirà le ore più drammatiche della sua vita: Aldo Moro viene rapito dalle Brigate Rosse che uccidono i cinque uomini della sua scorta. Per il presidente del Consiglio, all’angoscia per la sorte dell’amico e al dolore per la strage compiuta a via Fani, si aggiungono la tremenda responsabilità di negare l’assenso a trattative con i terroristi, il timore per le sorti del Paese (in un primo momento si temette di trovarsi di fronte a un assalto generalizzato allo Stato), la necessità di garantire comunque stabilità al governo e alle istituzioni. Senza considerare la preoccupazione anche per la incolumità personale: la sera del 16 marzo Andreotti parlò con i familiari ipotizzando l’eventualità di un suo sequestro, escludendo che si chiedessero concessioni a favore dei rapitori. D’altronde il terrorista Alberto Franceschini rivelerà anni dopo che le Brigate Rosse avevano studiato nei dettagli il rapimento di Andreotti, decidendo poi di prendere Moro come bersaglio perché Andreotti abitava in centro e l’agguato sarebbe stato più difficile. Furono cinquantasei giorni drammatici culminati con l’annuncio agghiacciante del ritrovamento del corpo senza vita di Moro.
Pesanti anche le conseguenze politiche. Andreotti governa ancora un anno, guidando il monocolore presentato alle Camere il giorno di via Fani, assumendo anche, per un mese, la responsabilità ad interimo del Ministero dell'Interno dopo le dimissioni presentate dal ministro Cossiga a seguito dell'uccisione di Moro. Ma venuta meno la capacità di convincimento e di mediazione di Moro, la Solidarietà nazionale si sfalda. Le accuse di immobilismo al governo avanzate da parte comunista si trasformano in un disimpegno che nasce anche dal timore che l'accordo tra DC e PCI possa incidere negativamente sul piano elettorale. D'altra parte, la proposta di Berlinguer per un organico ingresso dei comunisti nel governo non trova il consenso della DC. Gli eventi precipitano per la decisione dell’ingresso dell’Italia nel Sistema monetario europeo. Stretto fra le pressioni di Francia e Inghilterra perché l’Italia aderisca con il gruppo dei primi e le resistenze del PCI che chiede di prendere tempo, Andreotti fa prevalere una logica europeista e sceglie la data dell’1 gennaio 1979 (che poi slitterà a marzo su richiesta francese).
Il 20 marzo 1979 Andreotti forma un nuovo esecutivo (il quinto) insieme con i repubblicani e i socialdemocratici. Non riceve però la fiducia del Parlamento: nel rispetto di un impegno preso con Berlinguer, in base al quale Andreotti non avrebbe tentato sotterfugi per governare nonostante l'opposizione dei comunisti, due senatori democristiani vennero fatti uscire dall'aula al momento del voto per escludere la possibilità di una maggioranza favorevole. Si va a elezioni anticipate. La Solidarietà nazionale è finita.
Ma per Andreotti il bilancio di questi anni è lusinghiero. Il primo obiettivo del governo fu affrontare la crisi economica attraverso una rigorosa politica antinflazionistica, bloccando gli scatti di contingenza nei salari e contenendo il costo del lavoro (anche riducendo il numero dei giorni festivi: furono abolite cinque feste religiose, fra cui quella della Epifania, e due civili). I risultati premiarono gli sforzi compiuti: alla fine dell’esperienza della Solidarietà nazionale, l’inflazione era scesa dal 23 all’11,6 per cento, le ore di sciopero erano passate da 286 milioni nel primo semestre 1976 a 154 milioni nello stesso periodo del 1979, il risparmio bancario era cresciuto da 52 mila a 90 mila miliardi di lire; senza considerare una ritrovata credibilità internazionale dell’Italia che solo pochi anni prima era stata costretta a dare in pegno alla Germania l’oro della Banca d’Italia per ottenerne il sostegno economico.
Altro fronte di particolare impegno dei governi Andreotti di Solidarietà nazionale fu quello della lotta contro il terrorismo che raggiunse in quegli anni il massimo livello di minaccia: venne creato allora il gruppo speciale antiterrorismo affidato al generale Alberto Dalla Chiesa. Ma una caratterizzazione molto spiccata di quei governi fu in politica estera: Medio Oriente, distensione Est Ovest e soprattutto Comunità europea, per favorire l'allargamento alla Grecia e accelerare i processi di integrazione monetaria.
C’è il tempo, tuttavia, per nuovi momenti difficili per Andreotti, anche sul piano personale. Come quello delle dimissioni – il 15 giugno 1978 – del presidente della Repubblica di Giovanni Leone, delle quali Andreotti avvertì la profonda ingiustizia; o quello dell’ approvazione - il 22 maggio 1978 - della legge che depenalizza l’aborto, che il presidente del Consiglio, pur profondamente contrario, deve firmare. Ma Andreotti deve anche affrontare in questi anni una nuova pesante manovra contro di lui. Alla fine di agosto 1976 il settimanale Espresso lo accusò di essere Antilope Cobbler, il personaggio chiave dello scandalo delle tangenti Lockeed. Fu facile dimostrare la falsità dei documenti che accusavano il Presidente del Consiglio: si era trattato di una truffa da parte di un americano che aveva fabbricato una documentazione falsa ai danni dell'unico esponente politico italiano di cui - confessò - conosceva il nome.
Ma il 20 giugno del 1976, Andreotti era stato candidato come capolista anche alle elezioni comunali di Roma come traino per il Partito in difficoltà. Eletto, ma divenuto poco dopo capo del governo, riuscì a partecipare ben poco ai lavori in Campidoglio e nel settembre 1979 preparò una lettera di dimissioni Approfondimenti disponibili per questo argomento:
Prova di alfabetizzazione del consigliere comunale Andreotti"
Minuta della lettera di dimissioni da consigliere comunale
Scambio di lettere fra Andreotti e Luigi Petroselli . Venne però convinto, per ragioni interne di partito, di non consegnarla.
Prova di alfabetizzazione del consigliere comunale Andreotti"
Minuta della lettera di dimissioni da consigliere comunale
Scambio di lettere fra Andreotti e Luigi Petroselli