Andreotti e l'Europa
Dalla introduzione al volume Andreotti e l’Europa di Francesco Lefebvre D’Ovido e Luca Micheletta
Giulio Andreotti è stato uno dei protagonisti dell’Italia repubblicana più presenti sulla scena internazionale, se non in assoluto il più presente e il più conosciuto nelle capitali europee e mondiali. Henry Kissinger, ricordando la visita di Andreotti a Washington il 17 aprile 1973, osservava, significativamente, che «i suoi modi professorali nascondevano una mente affilata come un rasoio ed era più interessato alla politica estera di quanto lo fosse qualunque altro dei suoi predecessori che avessi incontrato» (H. Kissinger, Years of Upheaval, Boston - Toronto, Little, Brown and Co., 1982, trad. it., Milano, SugarCo Ed., 1982, p. 121). Citazioni di apprezzamento per le qualità di Andreotti possono essere trovate nelle memorie di altri eminenti statisti, come Andrej Gromiko (A. Gromiko, Memorie, Milano, Rizzoli, 1989, p. 216), Michail Gorbatschow (M. Gorbatschow, Erinnerungen, München, btb, 1996, pp. 750 ss), Helmut Schmidt (H. Schmidt, Die Deutschen und ihre Nachbarn, Berlin, Goldmann, 1992, p. 365), Hans-Dietrich Genscher (H.-D. Genscher, Erinnerung, Berlin, Siedler, 1995, pp. 736-737.). La sua indiscussa autorevolezza sul piano internazionale era basata su una vasta rete di relazioni, costruita nel corso del tempo a cominciare da quando, ventottenne, nel 1947, era stato chiamato da De Gasperi al ruolo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Fin da quella prima esperienza governativa era stato impegnato in prima persona in delicati compiti di politica estera, fra i quali – per citare i capitoli di maggiore momento storico per l’Italia del dopoguerra – la questione altoatesina e quella di Trieste; soprattutto aveva potuto seguire da vicino la maturazione delle due grandi scelte di politica internazionale compiute dallo statista trentino: l’Alleanza atlantica e l’integrazione europea. Attraverso queste scelte, non facili e, all’epoca, non unanimemente condivise nel mondo politico italiano e nella stessa Democrazia Cristiana, De Gasperi aveva ricollocato l’Italia nell'Occidente, ispirando, in continuità con il Risorgimento, anche l’azione internazionale del partito dei cattolici italiani ai valori e ai principi dell’Occidente. Andreotti considerava, non a caso, per l’appunto, come il più importante degli insegnamenti politici degasperiani quello di attribuire maggiore rilievo alla politica estera che a quella interna, condizionando, per quanto possibile, quest’ultima alla prima.
Le grandi scelte di De Gasperi e la sua visione euro-atlantica costituirono i fondamenti della formazione internazionale di Andreotti e rimasero i capisaldi della sua lunga attività politica, svoltasi in un arco temporale di mezzo secolo, un’epoca segnata dalla nascita prima, e dalla fine poi, della contrapposizione bipolare. Durante questo periodo, lo statista romano ricoprì più volte la carica di ministro e di presidente del Consiglio impegnandosi, in campo internazionale, sempre con coerenza, al consolidamento e allo sviluppo delle due scelte compiute da De Gasperi nell'immediato dopoguerra. Le convinzioni europeiste e atlantiche non significarono, tuttavia, mai accettazione di ruoli di subalternità in politica estera o rinuncia a perseguire l’interesse nazionale. Al contrario, quest’ultimo esigeva – nell'ottica di Andreotti – prima di ogni altra considerazione, la fedeltà a quei principi e a quelle convinzioni, che erano gli strumenti indispensabili per la conservazione della libertà e della democrazia e per il progresso materiale degli italiani. A partire da questi punti fermi si poteva – come non di rado sarà per la sua politica mediterranea – allargare l'azione diplomatica, affermare il punto di vista peculiare dell’Italia sulle questioni internazionali all’ordine del giorno, prendere iniziative o perseguire politiche di difesa degli interessi nazionali anche in dissenso con gli alleati e con il maggiore di essi, gli Stati Uniti. Se, dopo la fine della guerra fredda, sull’evoluzione dell’Alleanza atlantica allargata e ridefinita nei suoi compiti, iniziò a nutrire dei dubbi, Andreotti non venne mai meno all’ideale dell’unità europea, quello che era stato – a suo stesso avviso – il più grande sogno coltivato da De Gasperi e lasciato come eredità all’intera classe dirigente democristiana.
Lo statista romano ha avuto un ruolo centrale nel processo di sviluppo dell’Unione europea: presente alla gestazione dell'idea e alle sue prime tappe, a fianco di De Gasperi, fu ministro delle Finanze tra il 1955 e il 1958, al momento del rilancio europeo e della firma dei trattati istitutivi della CEE e dell’Euratom; guidò il ministero della Difesa tra il 1959 e il 1966, per poi divenire per la prima volta presidente del Consiglio tra il 1972 e il 1973, quando la Comunità si allargava a Regno Unito, Irlanda e Danimarca, e sperimentava gli strumenti per garantire la stabilità monetaria con la creazione del serpente monetario europeo; tornò a guidare il governo dal 1976 al 1979, nel periodo in cui la Comunità europea, alla ricerca di nuove vie di integrazione, approdava all'istituzione del Sistema monetario europeo, alla prima elezione del Parlamento europeo a suffragio universale e negoziava il secondo allargamento alla Grecia; infine, come ministro degli Esteri dal 1983 e, a seguire, presidente del Consiglio dal 1989 al 1992, Andreotti fu impegnato nel secondo fondamentale rilancio europeo, segnato dall'allargamento alla Spagna e al Portogallo, dall'Atto Unico europeo e, infine, in connessione con la riunificazione della Germania, dalla nascita dell'Unione europea.
Roma, febbraio 2017