Presidente del Consiglio 1976-1979
Nella seconda metà degli Anni Settanta, l’Italia si trova in una situazione difficile nei rapporti con i tradizionali alleati europei e occidentali, timorosi sulle capacità del Paese di superare la grave situazione economica e politica interna. Erano gli anni in cui venivano rivolti ammonimenti all’Italia (lo fece il cancelliere Schmidt al vertice di Portorico del ’75) a non coinvolgere i comunisti nel governo, mentre lo stesso Schmidt chiedeva l’oro della Banca d’Italia in garanzia di un prestito vitale per la nostra economia in affanno.
In questo quadro Andreotti, di nuovo presidente del Consiglio dal ’76 al ’79, svolse un ruolo centrale nel convincere le autorità americane della immutata posizione internazionale della DC pur in uno scenario di necessaria collaborazione con il Partito comunista. Questo d’altronde, sottolineava Andreotti, aveva cambiato radicalmente atteggiamento aderendo al processo di costruzione europea e accettando la collocazione del Paese nella NATO.
Fu Andreotti, inoltre, a decidere l’ingresso dell’Italia fin dall’inizio nel Sistema Monetario Europeo applicando quello che sarebbe stato poi definito il “vincolo esterno”: il ricorso agli impegni internazionali per far accettare nel Paese politiche di austerità altrimenti difficilmente proponibili. Una decisione presa da Andreotti nonostante l’opposizione del PCI dalla cui non ostilità, pure, dipendeva la sopravvivenza del governo di “unità nazionale” e che infatti portò la caduta dell'esecutivo.